Onorevoli Colleghi! - La proposta di legge che si presenta ha l'obiettivo di dare concreta attuazione al dettato costituzionale in materia di parità e di pari opportunità per donne e uomini, promuovendo una normativa per il riequilibrio di genere e per il sostegno al sesso sottorappresentato negli organi di decisione, direzione, indirizzo, gestione e controllo delle amministrazioni pubbliche dello Stato, ivi comprese le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici nazionali e le società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale.
      L'articolo 51 della Costituzione, come è ormai noto, stabilisce che «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».
      Appare, dunque, necessario che lo Stato si doti di strumenti idonei a garantire l'effettività del principio di uguaglianza fissato dalla Costituzione, in primo luogo presso le proprie amministrazioni, stabilendo criteri per favorire l'accesso alle nomine negli organi decisionali al sesso sottorappresentato e garantendo pari presenza di donne e di uomini all'interno degli organi stessi.
      Non vi è dubbio, infatti, che nonostante le donne abbiano conseguito negli ultimi decenni piena parità nella formazione, nell'istruzione e in molti aspetti della vita economica e sociale, vi sia ancora una loro scarsa presenza, o in alcuni casi «assenza», nei luoghi decisionali e di governo.
      La presente proposta di legge vuole, quindi, intervenire in quella che viene definita una «ampia zona grigia» che riguarda le scelte largamente discrezionali effettuate dagli organi di vertice delle amministrazioni pubbliche e degli altri

 

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soggetti indicati. Analizzando i vertici delle amministrazioni pubbliche si evidenzia che la componente femminile è ignorata o ampiamente sottodimensionata nonostante la presenza sempre più massiccia e competente delle donne nel mondo delle professioni, dell'istruzione, della formazione, della ricerca eccetera.
      Gli apparati pubblici «replicano», in sostanza, quanto avviene negli organismi di rappresentanza e nei vertici del mondo dell'impresa privata. Eppure è noto che le donne leggono più degli uomini, studiano più degli uomini, riescono prima e meglio nei concorsi pubblici, entrano in tutte le professioni e hanno le migliori performance nei percorsi scolastici facendo riscontrare i minori abbandoni.
      Questi successi sono il risultato di una forza che le donne hanno mostrato di avere, oltre che di un apparato normativo di tutela e di rimozione degli ostacoli alla parità di genere che nel nostro Paese è stato molto opportunamente promosso e si è stratificato contribuendo a produrre molti significativi risultati.
      È necessario, tuttavia, compiere un deciso passo in avanti con norme di promozione delle competenze e dei talenti al fine di rompere il «tetto di cristallo» che ancora oggi impedisce alle donne di assurgere agli incarichi di vertice negli apparati pubblici, con una sicura perdita di efficacia dell'azione della pubblica amministrazione, e produrre un'utile innovazione nei criteri di selezione della classe dirigente del nostro Paese.
      Fa piacere ricordare che la pubblica amministrazione è stata definita «la fabbrica dei diritti». Pertanto si richiede che debbano essere utilizzate tutte le migliori professionalità al servizio e per la cura dell'interesse pubblico quale fattore di autentica democrazia che riconosca a tutti i cittadini, uomini e donne, uguali diritti e uguali doveri senza discriminazioni di genere. Le donne vogliono e possono prendersi le loro responsabilità: per farlo devono poter avere pari opportunità di accesso ai luoghi decisionali.
      Vale la pena ricordare, a puro titolo di esempio e senza nessuna pretesa di essere esaustivi, che permangono nel nostro Paese «asimmetrie di genere» evidenti e corpose nell'amministrazione della cosa pubblica che vanno riequilibrate: il 53,1 per cento dei dipendenti pubblici sono donne, ma nei livelli apicali la loro presenza si attesta sul 7 per cento.
      Per andare più nello specifico del provvedimento in oggetto vediamo, da dati pubblicati dall'Osservatorio sulle pari opportunità del Forum della pubblica amministrazione, che sul totale dei direttori generali degli enti pubblici solo il 12,1 per cento sono donne, mentre i direttori generali delle aziende sanitarie locali sono per il 9,4 per cento donne; la situazione migliora un po' tra i dipartimenti della pubblica amministrazione centrale, dove le donne capo dipartimento raggiungono il 12,5 per cento; ma se guardiamo ai presidenti degli enti pubblici la percentuale di presenza femminile scende al 2,3 per cento. Da ultimo, caso estremo, ma nemmeno tanto, nel nostro Paese nessuna donna è direttore generale di una città metropolitana. Dati molto significativi, che pongono l'Italia agli ultimi posti in Europa e nel mondo. Anche gli obblighi derivanti dall'appartenenza del nostro Paese all'Unione europea e il raggiungimento degli obiettivi condivisi in materia di sostegno e di valorizzazione alla partecipazione delle donne alla vita pubblica fanno sì che il riequilibrio di genere nei luoghi decisionali sia una questione sulla quale intervenire per colmare i divari che ancora si registrano nel nostro Paese e raggiungere risultati certi e durevoli.
      La presente proposta di legge ha, dunque, una doppia finalità: favorire l'accesso alle nomine per gli incarichi pubblici del sesso sottorappresentato (articolo 1) e, inoltre, promuovere la presenza paritaria di donne e di uomini nelle amministrazioni pubbliche dello Stato, ivi compresi le aziende e le amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici nazionali e le società a totale o a prevalente partecipazione pubblica statale (articolo 2).
      La proposta di legge, all'articolo 3, reca la cosiddetta «clausola di cedevolezza». In
 

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base al nuovo riparto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni, le disposizioni della normativa statale in materia di legislazione concorrente regionale si applicano fino alla data di entrata in vigore delle leggi regionali di ciascuna regione.
      All'articolo 4 si stabilisce che le amministrazioni pubbliche sono tenute a dare attuazione al principio di parità di genere nella composizione degli organi di direzione, indirizzo, gestione e controllo e che i soggetti cui compete la nomina, la proposta o la designazione devono garantire la rappresentanza di entrambi i generi, nel rispetto dei princìpi di pari opportunità e non discriminazione, nei singoli organi monocratici o collegiali.
      All'articolo 5 si è ritenuto di precisare che le disposizioni della legge non si applicano alle nomine e alle designazioni vincolate alla titolarità di uffici e di cariche già rivestiti.
      L'articolo 6 istituisce il Comitato di garanzia per l'attuazione dell'equilibrio della rappresentanza dei sessi. La previsione di un apposito organismo di vigilanza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha l'obiettivo di rafforzare il carattere prescrittivo delle disposizioni in materia di rappresentanza non discriminatoria di entrambi i generi nelle cariche più importanti dell'apparato pubblico. Il Comitato esercita le sue funzioni attraverso indagini a campione e rapporti annuali al Governo e al Parlamento sul fenomeno della sottorappresentazione delle donne nella composizione degli organi di direzione, gestione, indirizzo e controllo. Il Comitato può, inoltre, richiedere ai soggetti indicati all'articolo 2 ogni informazione sulle nomine effettuate, anche su richiesta di chiunque vi abbia interesse.
      Nell'intento di superare la possibile sottovalutazione dei compiti del Comitato si è inteso prevedere anche uno specifico obbligo di fornire le informazioni e i documenti richiesti, con relativa applicabilità di sanzioni amministrative o disciplinari per coloro che rifiutano oppure omettono di fornire, entro sessanta giorni, i dati richiesti.
      L'apparato sanzionatorio è infine completato dalla previsione di un potere di intervento, che può giungere fino alla dichiarazione di inefficacia del provvedimento, sulle nomine effettuate in violazione del principio di rappresentanza non discriminatoria e dalla pubblicità del relativo provvedimento del Comitato.
 

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